LAVORO: INPS; I DATI DELLA CIG SONO IMPRESSIONANTI

Si tratta di una cifra impressionante, quasi un miliardo di ore, per la precisione 918 milioni di ore, vale a dire piu’ di quattro volte tanto rispetto a quelle consumate nel corso del 2008, che furono circa 223 milioni di ore. E’ come se oltre 440 mila lavoratori fossero scomparsi per un anno intero dal sistema produttivo. commenta i dati dell’Inps sulle ore di cassa integrazione autorizzate nel 2009. Il Pd e’ pronto con le sue proposte, ad un confronto con il governo sui temi dell’emergenza sociale ed economica. Ma e’ facile immaginare  che, a causa dell’utilizzo frazionato della cassa integrazione e dei relativi scorrimenti di orario, sia stato coinvolto circa un milione di lavoratori nel corso del 2009, senza contare coloro che non hanno protezione sociale di sorta o che sono stati silenziosamente licenziati: penso ai lavoratori a progetto, ai contratti a termine e al lavoro dipendente mascherato da partita Iva.  Chiedo quindi che il governo metta ‘al primo posto dell’agenda politica i temi dell’occupazione, dello sviluppo e della riforma degli ammortizzatori sociali’ e che si affrontino in modo tempestivo e adeguato’ le situazioni aziendali che altrimenti potrebbero diventare esplosive.

6 Risposte

  1. E’ il gatto che si morde la coda:piccole imprese in emergenza come i dipendenti e impotenti di fronte ai costi eccessivi che si sostengono per un lavoratore (dipend. a volte guadagna di più del datore di lavoro, senza oneri e stress 7 gg su 7). Siamo un blocco unico; il mai nominato e “archiviato” Prodi aveva visto giusto sull’abbassamento del costo del lavoro, proposta mai più sentita nè da dx nè da sx, peccato…sarebbe stato un inizio, se pur insufficiente, per risolvere davvero la crisi economica, dando un po’ di respiro a imprese e dipendenti. A qualcosa il barile statale doveva rinunciare ma avrebbe, a lungo termine, ottenuto grandi vantaggi e soprattutto mantenuto la democrazia che sicuramente è a rischio. La fame del popolo, insegna la storia, porta sempre catastofri e shock, porta dittature e soprattutto la mancanza di un ceto sociale intermedio tra ricchi e poveri porta alla distruzione dei giusti equilibri necessari in ogni paese che voglia dirsi davvero democratico. Ne riparleremo tra qualche anno in una società multirazziale in un paese non pronto ad organizzare le diversità, un paese senza chiarezza nelle leggi cavillose e facilmente superabili: mille decreti che si contraddicono, mille parole formalizzate a creare solo confusione e in più leggi che non distinguono le tipologie di imprese, di anni di attività, corsi e corsettini per essere tra gli ultimi come professionalità, sicurezza e soprattutto controllo, mai nessun colpevole o responsabile, una macchina malfunzionante e vecchia su strade giganti, una macchina obsoleta non adatta alla velocità degli altri, un’Italia troppo divisa e troppo contesa, troppo diversa nelle sue piccole parti, troppo difficile da gestire ormai persino per il Padre Eterno. Io sono ancora lì ad aspettare la riforma Prodi rimasta nella campagna elettorale del 2006, mai neppure imbastita, mai neanche accennata da qualcuno che teme che quel nome possa riportarlo a fare il galoppino in qualche partitino improvvisato magari nella bassa Pianura Padana. Possibile che sia così difficile fare qualcosa di concreto in questa Banana Republic, che sia così impossibile ridurre almeno un pochino la crisi economica dell’Italia e sia così facile guadagnare miliardi in poco tempo, partendo da zero come hanno fatto e fanno in tanti?

  2. La disoccupazione è un problema comune a tutti i paesi occidentali sviluppati. E’ la conseguenza di una incapacità diffusa in tutti i governi oppure ci sono delle cause strutturali?
    Fino al 1974 il tasso di disoccupazione nei paesi della UE, si attestava in media intorno al 3%. Poi, nel giro di dieci anni, salì di dieci punti percentuali. Cosa accadde? Qualcosa di molto positivo: l’emancipazione femminile. Le donne dagli inizi degli anni settanta entrarono massivamente nel mondo del lavoro. Questo produsse una grande crescita qualitativa della società italiana: nuove idee, innovazione, entusiasmo, produttività. Purtroppo, nonostante il sistema produttivo ed economico crebbe notevolmente grazie alle donne, l’offerta di lavoro da quel punto in poi non riuscì più a coprire la domanda, determinando una forte crescita del tasso di disoccupazione.
    Ora, siccome la bacchetta magica non esiste, per tornare ad equilibrare domanda ed offerta di lavoro è necessario ridurre l’orario di lavoro. Con 6 ore lavorative giornaliere si giungerebbe all’occupazione piena, all’abbattimento del lavoro nero e ad un netto miglioramento della qualità della vita per tutti. In ogni famiglia sarebbero assicurati due stipendi, non si dovrebbe più pagare la balia o la domestica per accudire figli ed anziani, si avrebbe molto più tempo libero per studiare, perfezionarsi, prendere una laurea o una seconda laurea, eventualmente procacciarsi un secondo lavoro e, volendo, costruirsi un’attività autonoma. Con l’occupazione piena ci sarebbe una reale flessibilità delle occupazioni e crescerebbe la probabilità per ognuno di trovare un lavoro congruente con le proprie aspirazioni e la preparazione scolastica. Inoltre, ci sarebbe un reale miglioramento della qualità della vita: più tempo da dedicare ai rapporti sociali, alla cultura, ai figli, alla famiglia. Insomma, una vita migliore. Le aziende, oltre a non avere oneri maggiori, avrebbero un guadagno in termini di produttività e di flessibilità. Tutte le statistiche mostrano come le ultime due ore di lavoro siano molto meno produttive rispetto alle prime della giornata e poi con un numero superiore di dipendenti potrebbero affrontare meglio le eventuali fluttuazioni stagionali delle commesse di lavoro.
    Nella storia la riduzione dell’orario di lavoro fu già attuata nell’epoca post-industriale per far fronte al calo di occupazione conseguente all’introduzione della meccanizzazione nelle fabbriche. Oggi siamo in una situazione analoga: l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha determinato una asimmetria tra domanda ed offerta di lavoro che è necessario risolvere. E lo si può fare con una ulteriore riduzione dell’orario di lavoro, resa ancora più urgente e necessaria dalla profonda crisi occupazionale conseguente alla grave crisi economica che stiamo attraversando.
    Ma c’è un grosso problema che spiega l’inerzia dei governi su questa soluzione: il potere teme l’azzeramento della disoccupazione. Come raccolgono voti i politici in campagna elettorale? Come comprano i cittadini? Con le raccomandazioni e la promessa del posto di lavoro. La disoccupazione è, dunque, funzionale al potere per conservare se stesso. Con più tempo libero i cittadini avrebbero, inoltre, tempo e modo per accrescere la propria cultura, informarsi e tenersi aggiornati sugli eventi della politica, fino ad arrivare.. a comprenderli. E’ evidente, quindi, che la politica non solleciterà mai una riduzione dell’orario di lavoro.

    Il costo di tale riduzione dovrebbe gravare in piccola parte sulle aziende (diciamo ripagabile con l’aumento di produttività che esse avrebbero facendo lavorare i propri dipendenti 6 ore al posto di 8) e in gran parte sul lavoratore che percepirebbe di meno. In cambio, però, quest’ultimo avrebbe un netto miglioramento della qualità della vita, la possibilità di avere due stipendi in famiglia anzichè uno, la possibilità di maggiori risparmi, pensiamo ad esempio alla cura dei figli e degli anziani, ma soprattutto beneficerebbe dei grandi vantaggi conseguenti ad un regime di piena occupazione (fine del lavoro nero, fine degli straordinari non retribuiti, maggior potere contrattuale verso i datori di lavoro, ecc).

    Se vi può interessare è stato aperto da poco un gruppo su facebook, per riaprire quantomeno il dibattito:

    http://www.facebook.com/group.php?gid=227928181736

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